arcana imperi - scena di anna e stella

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Lenny.
view post Posted on 16/3/2015, 23:50




Arcana Imperii~
Perché tutto inizi


« Quest'oggi avrete la possibilità di assistere ad un magnifico torneo. Una giostra degna del più nobile dei cavalieri. Molti hanno schierato i loro fedeli campioni, molti altri hanno preferito parteciparvi personalmente. Al vincitore sarà concesso l'onore di ricoprire il ruolo di campione dei Pari, un titolo che sarà riconosciuto tra i Pari in tutto il Dortan! Ma ora è tempo di divertirsi! Che l'evento abbia inizio! »

Il boato della folla quasi stordì Vagun, che sgranò gli occhi assieme a un rosario di imprecazioni. Cominciò a chiedersi che diavolo gli era passato per l'anticamera del cervello, tre giorni e tre notti prima: decidere di punto in bianco di abbandonare Basiledra, rincorrere le voci di una straordinaria occasione di guadagno nella Contea di Ardeal, noleggiare un asinello rachitico e mettersi in viaggio, alla faccia di chi si sarebbe perso un torneo di cavalieri. Inutile dire Vagun non fosse mai stato interessato ai tornei più di quanto lo fosse stato verso la pulizia delle unghie dei piedi. Inoltre, da onesto ladro qual era, combatteva i ricchi da una vita. Nobili e nobilastri, pierculi e leccaballe, finti damerini lezzosi di muschio che si atteggiavano a chi stava meglio in quella maniera ridicola, cercando di irritare i loro simili e denigrando chi gli era inferiore. Tutti ammucchiati ad Ardeal. Peggio del freddo cane c'era soltanto la fame ladra e schifosa, che faceva azzannare le gambe dei tavoli per non mordere quelle dei commensali. Era stato un inverno durissimo, poco da mangiare, poco guadagno, e la scena tenuta saldamente dalla primattrice, la pestilenza. No, aveva fatto la cosa migliore a lasciare Basiledra: un'occasione del genere non andava assolutamente sprecata.

La gente nella spianata di Ardeal era divisa, come al solito, dal potere del denaro. I vestiti avevano uno scopo e un senso. I Pari nel miglior arnese possibile, giacchette striminzite rindondanti di bottoni e brillii, l'andatura chissà perché diritta, pancia in dentro petto in fuori e manico di una scopa su per il culo, a voler spudoratamente imitare chissà quale magnificenza della propria antica foggia. Poi c'erano i borghesi che facevano il possibile per imitarli, agghindati al meglio. Patetici quasi quanto i nobili. E infine la gentaglia come lui, vestita di stracci o quasi, chissà se era nata povera o se era stata la pestilenza a impoverirla. Il corso dei pensieri fu interrotto dai sensi. Odore intenso di muschio. Vagun si voltò di scatto. Proveniva da due ragazzini, un paio di gemelli biondicci con occhi azzurri. La pacchiana, arrogante magnificenza di un paio di piccoli rampolli nobilastri. Li squadrò con disgusto. Ridacchiavano dietro il loro servitore, un vecchio spelato curvo in avanti dal peso dell'età. Si divertivano a sfotterlo, lo chiamavano in continuazione per il gusto di vederlo correre di qua e di là, gli facevano lo sgambetto quando passava tra loro, gli attaccavano pezzi di cibo ai vestiti.
Vagun strinse i denti.
Quando loro padre, un elegantone dai baffi ridicoli a spirale li raggiunse, fu davvero troppo. Ammonì il servo di stare attento a non far inciampare i suoi figlioletti, o ne avrebbe passate delle belle.
Vagun digrignò i denti, e decise di agire.

In realtà, questa volta non era questione di denaro. Il punto era l'onore. E, in fondo al cuore, l'odio per quella strana forma di vita che puzzava di boria. Gli tornò in mente la figura di Ozkan, i capelli bianchi corti, gli occhi grigi da cane, mani esageratamente grandi, le nocche in rilievo. Ozkan amava bere e mangiare, ma solo in compagnia. Per il resto, era parco in misura estrema. Amava il pesce di fiume, le trote alla brace. Trote alla brace. Ne sentì l'odore insieme a tutta la distanza che lo separava da Castelgretto.
Si avvicinò al riccastro baffuto e lo urtò leggermente con la spalla, in modo da celare il secco movimento portato dabbasso con la daga, con cui tagliava all'altro il borsello attraccato alla cinghia per poi farsela scivolare nelle brache. Il pierculo abbassò lo sguardo aggrottato sul pelleverde, lo fissò dall'alto verso il basso -come tutto il resto del mondo ovviamente- con le labbra curvate in una espressione di vago disgusto. Il goblin dal canto suo piegò la testa e con un mezzo sorrisetto stampato in faccia replicò.

« Chiedo scusa signore, un certo lezzo di muschio deve avermi stordito e fatto perdere l'equilibrio. »

E senza indugio aumentò il passo e si dileguò tra la folla.
Una manciata di secondi più tardi lo strillo "AL LADRO! AL LADRO!" lo raggiunse. Era tempo di fare ciò che sapeva far meglio: correre. A rotta di collo tra i culi della gente, colli che si slungavano come polli per sbirciare oltre, ma troppo alti per accorgersi di un piccolo goblin alto un metro e uno sputo, piedi che si alzavano sulle punte come un esercito di ballerine sbilenche, commenti e bestemmie che si incrociavano nelle stuoie mentre Vagun sistemava il borsello del nobile all'interno della propria bisaccia e si allontanava verso la spianata adibita al torneo. Venne inseguito dagli insulti fino a uno sbarramento di guardie che controllava al'ingresso al palco. Rimbalzò contro la corazza di una guardia e si ritrovò col culo per terra. Si rialzò, spazzando il fango dal pastrano.

« Eheh, oggi dovrei stare più attento a dove metto i piedi. Posso entrare? »

Ancora quello sguardo disgustato, dall'alto verso il basso. Vagun percepì il sospetto, l'acredine che gli esseri umani i solito provavano nei confronti dei pelleverde. I goblin non erano certo pericolosi e violenti come gli orchi, ma possedevano lo stesso difetto: erano diversi. Nonostante le leggi del Dortan stabilissero che qualsiasi razza poteva solcare l'impero, purché seguisse le sue regole, il popolino restava chiuso nelle sue credenze e nella sua gretta avversione verso gli "altri". Ecco cosa lesse Vagun in quello sguardo, nulla di nuovo, nulla di incomprensibile, nulla cui ormai non ci avesse fatto il callo. Non si stupì infatti quando la guardia gli mentì sfacciatamente.

« Non ci sta manco uno spillo, se lascio passare te schiacci le balle a qualcun altro. Fila via. »

« Magari incontro qualcuno così gentile da prendermi sulle spalle come un pargoletto. Andiamo amico, vorrei assistere. »

« Piacerebbe anche a me, invece mi tocca stare qua a impedire che passi uno straccione pelleverde. Ho detto che il palco scoppia, cosa non ti è chiaro? »

A pochi metri da loro, una famiglia di borghesi passò oltre l'ingresso senza che neanche una guardia lanciasse loro un'occhiata. Vagun capì l'antifona, girò i tacchi e si diresse verso i tendaggi colorati adibiti ai banchetti. Provava un odio viscerale verso quel mondo ipocrita di sangueblu, e giurò a se stesso che entro la fine della giornata si sarebbe vendicato, oh se si sarebbe vendicato. Avrebbe atteso il momento giusto laddove si trovava perlopiù gente comune, ben più alla mano e non sempre chiusa verso un piccolo amabile goblin come lui. Si fece versare un forte e rustico rosso in un boccale e prese posto a una delle tavolate, ingollando una sorsata dietro l'altra per affogare la rabbia nel vino. Al suo fianco si ritrovò un tizio tozzo e barbuto con una bizzarra bandana sulla testa. Un nano: uno come lui ritenuto "diverso". E come lui, neanche troppo alto.

« Puah! »

esclamò con una smorfia, rivolto all'altro.

« Chissenefrega di tutta quella calca pulciosa ammassata sul palco. A noi ci vorrebbero comunque dei trampoli per veder cadere qualche zucca. Meglio stare qui a far festa con le pezze al culo, dico io, alla faccia di tutti loro. »

Senza voltarsi, il nano prese un sorso dal grosso boccale difronte a se, asciugando la birra versata sulla barba con una manica. Sulla bocca un sorriso.

«Parla per te, yeşil-deri! Io ho un posto in prima fila!»

Il nano si voltò verso il goblin, gli occhi lucidi lo fissavano con curiosità. Solo allora Vagun notò il naso arrossato e l'aria brilla. Particolari che gli ispirarono ancora più simpatia verso lo sconosciuto.

« Ma ti do ragione. Che se li prenda l'Abisso quei sümüksü yılan »

Biascicò l'ultima frase con odio. Accese due sigari, porgendone uno al goblin, mostrando i denti in un ghigno tutto storto.

« Beviamo alla faccia loro! Offro io! »

Vagun accettò il sigaro senza far complimenti e tirò una boccata talmente profonda da farsi lacrimare gli occhi. Non era abituato al fumo, e difatti gli sfuggirono un paio di secchi colpi di tosse.

« Questo dev'essere il mio giorno fortunato. Conoscere qualcuno ricco come un Pari e generoso come un Corvo Leico. Ma per nostra fortuna non sembri appartenere a nessuno di quei branchi di pecoroni, amico. »

Berciò, per poi sorseggiare e tirare una boccata più dignitosa. Un mezzo sorriso stampato sul grugno.

« Racconta un po' su, cosa porta un nano a un torneo di cavalieri, oltre la voglia di bere e fumare compagnia? Passatempi che condivido sempre di buon animo eh, non mi prendere per un cazzo di ingrato. »

« Affari, yeşil-arkadaş . Mani da vedere e persone da stringere...»

Il nano rise di cuore alle sue stesse parole.

« C'ero quasi ... Ehm... Ho bisogno di clienti facoltosi e questi zengin domuzlar sono sul piede di guerra. A chi altri potrei vendere armi, se non a loro?»

il nano, prende un altro sorso, finendo il boccale, e abbraccia il goblin.

« Ma pensiamo alle cose serie... Oste, un'altro giro per me e per il mio amico yeşil-deri! »

Vagun annuì seccamente, fingendo di comprendere il bizzarro dialetto del nano. I due si presentarono e si strinsero la mano, si diedero di gomito e risero sguaiatamente al passaggio di una nobildonna simile a un tricheco -per stazza e baffi-, e continuarono a parlare del più e del meno, tanto per ammazzare il tempo in attesa dell'inizio del torneo. Solo allora Vagun avrebbe messo fine all'allegra scampagnata: aveva un piano per sé e Aruj. Un nano mercante d'armi in cerca d' oro era un'opportunità da cogliere al volo, tra l'altro abbastanza ubriaco da venire facilmente spinto a fare qualcosa che -forse- da sobrio non avrebbe mai fatto. L'idea di coinvolgere il nuovo compare nel suo losco piano di vendetta gli solleticò la mente. Ma la simpatia che provava verso l'altro era -al contrario del suo piano- onesta e sincera, e di certo non si sarebbe approfittato di lui per poi abbandonarlo nella merda.
Ingollò l'ultimo sorso di vino e batté una forte pacca sulla spalla di Aruj.
Quella giornata ad Ardeal sarebbe stata memorabile, parola di goblin.

« E va bene, direi che ci siamo fatti abbastanza onore. Un nano e un goblin hanno trincato quanto due giganti! »

Posò il boccale sul tavolo, tirò un lungo sospiro e si accasciò sullo schienale, mani incrociate dietro la nuca. Ruttò sonoramente, schizzando verso il cielo una raggiera di goccioline di vino, sotto lo sguardo palesemente schifato di un paio di passanti.

«Adesso però cerchiamo di mantenerci svegli. Anch'io sono qui per certi...affari, e se trovo qualcuno con abbastanza palle da seguirmi, domani ci si può svegliare più ricchi di quei rottinculo seduti sul palco del Consiglio.»



Nobile e guardia sono stati pngizzati colla benedizione di Stella Alpina. Chiunque può tranquillamente aver notato sia il borseggio del nobile che la fuga di Vagun e il battibecco con la guardia, e ascoltare il dialogo tra lui e il nano (accordato con lutente Jedi per vie private. Attualmente Vagun si trova seduto a uno dei tavoli dei banchetti in compagnia di Aruj Shadak.



Edited by Lenny. - 17/3/2015, 19:15
 
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